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"Con i migranti per fermare la barbarie": l'Uisp aderisce all'appello

L'Uisp aderisce alla mobilitazione in programma per sabato 27 ottobre in diverse località italiane. Le adesioni e gli appelli

 

L’Uisp ha aderito alla giornata di mobilitazione in programma il 27 ottobre in varie città italiane e all'appello “Con i migranti per fermare la barbarie”, promosso da una serie di organizzazioni sociali, tra le quali Anpi, Arci, Cgil, Amnesty International, AOI-Organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale, Libera, Emergency, Legambiente e molte altre.

Ecco il testo integrale:

In Italia e in Europa risuonano forti campanelli di allarme.
I princìpi di civiltà e di convivenza democratica sono tornati a essere bersagli di chi vuole dividere, reprimere, escludere, cacciare.
Razzismo e xenofobia vengono ogni giorno instillati tra gli italiani del Nord e del Sud, e si diffondono nelle città e nelle periferie sociali. Ma se prima si trattava soltanto di segnali universalmente considerati negativi, adesso i sintomi sono rappresentativi di un’involuzione profonda. E fanno paura.

A fronte di un cambiamento così preoccupante, è necessario intensificare ed estendere la risposta di popolo contro le violenze, i soprusi, le prepotenze che scendono dall’alto come una nera cappa che copre il nostro Paese. Una risposta in nome dei diritti, del rispetto, del senso di umanità che non possiamo e non dobbiamo smarrire.

I primi segnali di un’alternativa sono arrivati con la reazione all’attacco a Riace e al suo sindaco Mimmo Lucano e con la straordinaria sottoscrizione per permettere l’accesso alla mensa e ai servizi di trasporto, ai bambini figli di cittadini stranieri, negati da un’ordinanza dalla Sindaca di Lodi.  Così come con la grande risposta delle magliette rosse, con la manifestazione a Catania per pretendere lo sbarco e il soccorso dalla nave Diciotti, con la straordinaria partecipazione alla marcia della pace Perugia-Assisi e il grande consenso che sta raccogliendo il progetto Mediterranea.

Da più parti viene la richiesta di una battaglia di civiltà, in difesa della democrazia costituzionale. E contro le diseguaglianze, contro le povertà, sociali e culturali che i ministri dell’odio manipolano, strumentalizzando il disagio e la sofferenza che coinvolgono milioni di italiani, per rivolgere la rabbia nei confronti delle persone più deboli dei nostri tempi: i migranti.

A questa gente, a milioni di donne, uomini, bambini viene negato qualsiasi diritto. È un’umanità che fugge da fame, povertà, guerre, terrore. Di questo immenso popolo, una piccola parte vorrebbe venire in Italia, anche solo per attraversarla. Lo vorrebbe fare rivolgendosi agli Stati, legalmente e senza rischiare la vita. Ma leggi e politiche  sempre più proibizioniste e liberticide producono morte e sofferenza e alimentano la criminalità e le mafie.

In Italia soffia un vento furioso di propaganda e, peggio, di violenza. Il limite della intolleranza si traduce in forme di aggressione e regressione sempre più gravi. I migranti diventano ostaggi, nemici, gente pericolosa. Insultati, picchiati, feriti da armi da fuoco, concentrati in centri invivibili. Adulti, minori, donne sole, bambini trovano in Italia un’ostilità crescente. E come se non bastassero il blocco delle navi e il boicottaggio delle Ong, il governo approva un decreto che, se accolto dal Parlamento, metterebbe ancora più a rischio la loro vita.

Un Decreto che punta a demolire il diritto d’asilo, a consegnare ai privati l’accoglienza puntando sui grandi centri che alimentano corruzione e razzismo, scaricando sui territori costi, disagio e tensione sociale.

Eppure nonostante le difficoltà politiche, nonostante i dubbi, nonostante le divisioni, tanti italiani sono disposti a fare argine al drammatico dilagare di comportamenti “cattivi”, che non avevamo ancora mai visto prima verso i più indifesi. Ma c’è di peggio, perché chi perseguita i deboli non se ne vergogna. Ostentando e stimolando odio.

A questa vasta area democratica, religiosa e laica, spetta il compito di tenere alta la bandiera della civiltà, della pace, della convivenza tra diversi, della democrazia. La chiesa di Papa Francesco interpreta con lucidità i tempi presenti. Il mondo cattolico, con le sue strutture e i suoi giornali, insieme alle tante associazioni sono già impegnati in aiuto dei migranti e in prima fila contro razzismo e xenofobia. Altrettanto il mondo laico: donne, uomini, giovani e meno giovani, compagne e compagni, preoccupati e convinti della necessità di dare un’ampia e forte risposta alla crescente barbarie.

È il tempo di compiere un primo, grande, passo. Tutti insieme. E possiamo farlo manifestando ‪il 27 ottobre 2018‪, non in una ma dieci, cento città.

Clicca qui per leggere l’elenco completo e aggiornato delle organizzazioni sociali aderenti, degli aderenti individuali e delle città dove si terrenno le manifestazioni.

Anche il Forum del terzo settore, rete interassociativa della quale fa parte anche l’Uisp, aderisce all’appello “Con i migranti per fermare la barbarie“. Lo fa presentando un proprio documento di adesione alle iniziative di mobilitazione previste per il 27 ottobre, dal titolo: “L’Italia è più grande di qualsiasi muro: la vera sicurezza è quella di tutti”.

Ecco il testo integrale: 

L’Italia è più grande di qualsiasi muro: la vera sicurezza è quella di tutti

I nostri re erano occitani, la nostra regione più produttiva porta il nome di un popolo germanico, le nostre spiagge del tutto esaurito nascono greche, le nostre Madonne sono spesso nere (121 in Italia, 741 in Europa). Anche prima dell’attuale globalizzazione eravamo già globali, anzi, la globalizzazione nell’antichità eravamo noi. Un marziano che scenda verso lo stivale, inquadrandolo sempre più da vicino e vedendolo lì, tra nord e sud, est ed ovest, si chiederebbe quale molteplicità di genti, storie, mercati possa mai ospitare la nostra terra. I nostri giovani hanno i volti delle nostre pallavoliste, i nostri nonni e i nostri figli votano dall’estero, gli idoli dei nostri ragazzini sono portoghesi.

La nostra Italia è più grande dei muri ristretti dentro i quali la si vuole chiudere.

La nostra identità è differenza, la nostra storia è mobilità, la nostra quotidianità è un bello, ma spesso faticoso, “stare insieme”, non ci trova separati in “noi” e “loro”. Negare la nostra storia e la nostra identità con norme o prediche surreali e pericolose è negare le condizioni di una vera sicurezza, che è tale se è per tutti e non solo per qualcuno.

Certo mobilità e migrazione non sono un’esperienza facile, non sono fotografie patinate, come insegnano tanti volontari e operatori che scommettono ogni giorno su un’integrazione reale di tutti. Se mal governate, ma soprattutto sfruttate e discriminate, senza tutele, alla mercé dei ricatti, possono riverberare solo insicurezza e degrado per tutti. E’ stato così anche con l’immigrazione interna, e chi non si ricorda il degrado, il razzismo, ma anche la violenza delle nostre grandi città industriali del nord negli anni ’70 nega anche qui la storia. Di quelle stesse grandi città che, grazie alla fatica e al lavoro dell’immigrazione e dell’integrazione tra tutti, oggi si scoprono inedite capitali del turismo. Non abbiamo bisogno dell’immigrazione straniera per aver sperimentato la paura e la violenza di cui siamo stati e siamo capaci noi stessi, da soli, come ancora testimonia la piaga delle mafie per le quali restiamo drammaticamente indiscussi “leader” mondiali nei mercati della droga e della corruzione.

Sposare la logica dell’emergenza, invece della pianificazione e della lungimiranza, è ormai dimostrato, significa allearsi, forse inconsapevolmente, con il degrado, lo sfruttamento, l’insicurezza e la paura. L’immigrazione è e sarà sempre più la normalità del nostro Paese. Negare la Realtà, come si è fatto a partire dalla legge Bossi Fini e dal rifiuto di una pur timida norma sulla cittadinanza a chi nasce nel nostro Paese, non ne ha arrestato il divenire. Ha invece solo contribuito a renderlo fonte di guadagno per chi vuole specularci sopra, anche politicamente.

Se veramente si vuole creare sicurezza bisogna investire sulla sicurezza di tutti, che parte sempre dalla tutela di chi è più debole. Se veramente si vuole arrestare anche l’emigrazione involontaria dei nostri giovani, serve costruire un Paese accogliente, dove ogni città diventa sicura perché di ogni persona e famiglia, e di ogni luogo, ci si prende cura e se ne esalta la bellezza e la libertà, non ostaggio delle “conoscenze giuste” o “dell’amico in Comune”. Per questo rimettere in discussione quanto di meglio si è fatto con le nostre comunità in termini di accoglienza, o mettere sotto accusa esperienze come Riace, piuttosto che approvare norme sulla presunta sicurezza per limitarsi a soccorrere non coloro che fuggono da guerre e disperazione, ma solo coloro che possono dimostrare di essere stati personalmente perseguitati, dimostra un cinismo, che prima di tradire la nostra Costituzione, tradisce la nostra umanità e il futuro dei nostri figli. Questa chiusura mentale ha già fatto tantissimi morti: bambini, mamme, papà, uomini, donne. Si è già compiuta, nei nostri mari, ma non solo, una strage invisibile, per numeri superiore a quella dell’11 settembre. Quello che sta avvenendo da anni è già un 11 settembre di tutti noi-distratta Europa (perché dell’Europa non si parla in terza persona), ostaggio degli ombelichi nazionalisti, siano essi populisti o moderati.

Per questo saremo in questi giorni a fianco delle organizzazioni di un’ampia rete di realtà della società civile che hanno lanciato l’appello “Con i migranti contro le barbarie”, in particolare perché sia rimesso in discussione il decreto “Salvini” e si smetta di ostacolare chi vuole fare una seria attività di soccorso e accoglienza.

Per questo chiederemo al Governo di costruire un tavolo di confronto sul tema immigrazione e accoglienza, per sfidarci tutti a una vera sicurezza e a una vera legalità che, come sancisce la nostra Costituzione, si fonda sul dovere della solidarietà e dell’affermazione dei diritti umani.

Non sul “prima qualcuno di qualcun altro”, perché non è questa la nostra storia e tanto meno il nostro futuro. Non è la nostra Italia, che sa, invece, con la propria laboriosa fatica, essere ogni giorno migliore di come la si vuole raccontare.